Che l'Italia fosse un Paese di non lettori è cosa ormai risaputa, ma leggere i dati dell'ultimo rapporto Istat sulla
Produzione e lettura di libri in Italia lascia senza parole. Vedere quei numeri allarmanti messi lì, nero su bianco, mi ha lasciata sempre più sconfortata sul futuro del Bel Paese.
I numeri parlano chiaro: nel 2013, cito testualmente, oltre 24 milioni di persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto, nei 12 mesi precedenti l’intervista, almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2012, la quota di lettori di libri è scesa dal 46% al 43%. […] Il numero di libri letti è comunque modesto: tra i lettori il 46,6% ha letto al massimo tre libri in 12 mesi.
Vuol dire che la maggioranza degli italiani non apre nemmeno un libro all'anno.
Dai dati emerge inoltre una differenza di genere nella propensione alla lettura: leggono infatti almeno un libro l'anno il 49,3% delle donne contro il 36,4% degli uomini. E prima che qualche buontempone mi dica che le donne leggono di più perché non hanno niente da fare (sì, ho sentito anche queste castronerie) ci tengo a sottolineare che questa disparità di comportamento inizia a manifestarsi in età scolare, dagli 11 anni. Permangono purtroppo anche le differenze territoriali: nelle regioni del Nord i lettori sono la metà della popolazione (50,1% nel Nord-ovest, 51,3% nel Nord-est), nel Sud e nelle Isole questa quota scende al 30,7%.
Di questa analisi, peraltro molto dettagliata, ci sono diverse cose che mi hanno colpita. La prima è che una famiglia su dieci non ha neanche un libro in casa. Nessuno. La seconda è che i lettori sono quelli che partecipano di più alla "vita culturale" italiana. In sintesi, cito sempre testualmente, la partecipazione culturale è tanto più elevata quanto più si legge. Insomma, chi legge frequenta più spesso cinema, teatri, musei, siti archeologici, concerti e così via. Sempre a dimostrare che si legge non perché non si ha di meglio da fare o perché ci si annoia (sì, ho sentito anche questo).
Un altro dato secondo me significativo è quello relativo alla categoria dei non-lettori: fra chi si autodefinisce non-lettore, ovvero un italiano su due, il 21,8% è rappresentato da laureati, cioè da chi si presume dovrebbe avere una maggior propensione alla cultura. In realtà questo non mi sconvolge più di tanto, ma anzi è un'ulteriore conferma (purtroppo) a quello che ho sempre pensato, ossia che troppo spesso laurea non è sinonimo di preparazione e ancor meno di cultura.
Ma dopo questa sequela di numeri desolanti, la domanda sorge spontanea:
perché in Italia si legge così poco?
Me lo sono chiesta davvero moltissime volte e, onestamente, non credo di aver trovato delle risposte esaustive, ma vorrei comunque cercare di esporre il mio personalissimo pensiero a riguardo.
Innanzi tutto credo sia un problema, passatemi il gioco di parole, culturale. Siamo il Paese del "con la cultura non si mangia" e del "beato chi ha il tempo di leggere, perché vuol dire che ha tempo da perdere". Aberrante!
È abbastanza chiaro che con simili presupposti la lettura non trovi terreno fertile. I lettori sono generalmente guardati male, quasi con sospetto, spesso etichettati come asociali o noiosi o radical chic da quattro soldi. Sì, le ho sentite tutte queste cose, dette da persone che orgogliosamente si vantavano di non leggere nemmeno la guida tv (ecco, io personalmente non ho nulla contro chi non legge. Liberissimi di farlo, per carità, ma "l'apologia della non lettura" mi pare un po' eccessiva!).
A questo va poi aggiunto che l'Italia investe in cultura solo l'1,1% del Pil (siamo al penultimo posto nell'Unione Europea), pur avendo una ricchezza da questo punto di vista pari a nessuno nel mondo.
Il contesto culturale in cui il lettore medio italiano si muove è dunque piuttosto avvilente. E la scuola, massacrata a suon di tagli costanti, non fa che peggiorare una situazione già drammatica. Quando la lettura viene vissuta come un obbligo, e non come un piacere e una fonte di arricchimento, è chiaro che non potrà diventare mai una passione e una volta finiti gli studi non ci si ricorderà nemmeno più come è fatto un libro. Insomma, non leggere è un diritto sacrosanto che però si porta dietro delle conseguenze non indifferenti. Non leggere significa non informarsi, non ampliare i propri orizzonti. Non leggere, per quel che mi riguarda, è un po' un non voler conoscere l'altro, il diverso. E con diverso intendo tutto ciò che noi non siamo, per cultura, orientamento religioso, sesso, etnia. Leggere, per me, è aprirsi agli altri, al mondo.
Forse vi sembrerò un tantino eccessiva nei toni, un po' troppo disfattista. Io credo invece di non esserlo abbastanza. Questi dati dovrebbe farci seriamente riflettere, soprattutto se accompagnati da un'altra serie di dati ancor più preoccupanti, quelli sull'analfabetismo funzionale che in Italia tocca percentuali allucinanti. Siamo primi fra i paesi sviluppati. Un bel primato, non c'è che dire.
Secondo il linguista italiano Tullio De Mauro “soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”. Questo significa che la la maggior parte degli italiani è in grado sì di leggere, ma non comprende quello che sta leggendo. E questa cosa ce l'abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, al lavoro, tra amici, su internet. E andando avanti di questo passo le cose non potranno che peggiorare se non cambiamo mentalità. Lo sviluppo e il progresso di un Paese passano anche e soprattutto da qui.
Per approfondire:
E secondo voi perché in Italia non li legge? Ed è così grave come penso o sono un po' esagerata?