lunedì 12 marzo 2012

Quattro chiacchiere con: GIULIANO PASINI

Oggi ho il piacere di condividere con voi la prima intervista realizzata per Bookshelf. Ospite di questo spazio l'esordiente Giuliano Pasini, autore del romanzo rivelazione Venti corpi nella neve, che non finirò mai di ringraziare per la disponibilità dimostrata.


Cominciamo dal principio, tu sei partito da un concorso letterario, il concorso Io Scrittore. Come ci sei arrivato?
Allora, diciamo che questo romanzo, è la prima cosa che ho scritto nella mia vita.
Io sono arrivato alla scrittura abbastanza tardi: mi è sempre piaciuto scrivere, però non avevo mai avuto la costanza di farlo. Quello che ho capito della scrittura è che non è un'attività che fai perché sei folgorato sulla via di Damasco in un particolare momento e quindi scrivi di getto, almeno per quanto mi riguarda. É una cosa che fai metodicamente, giorno per giorno. Insomma, non avevo la costanza di farlo. Poi ho conosciuto mia moglie e sistemato alcuni lati della mia vita, così le energie le ho incanalate verso la scrittura. 
Avevo questo manoscritto, un po' disordinato (le parti del 1945 e del 1995 ad esempio le avevo iniziate in parallelo) e iniziato senza un progetto preciso. É nato tutto strada facendo e infatti la prima stesura è stata stroncata da mia moglie. E aveva ragione lei! Quindi ci ho lavorato sopra ancora parecchio; poi  sul sito di Ibs ho visto l'annuncio di questo concorso. Mi è piaciuta subito la formula: perché mia moglie era l'unica ad aver letto il romanzo e non mi azzardavo a farlo leggere a nessun altro, la classica situazione in cui non lo consideri mai pronto. In questo modo, con Io Scrittore, iscrivevo il romanzo in forma anonima e sarei stato poi giudicato dagli altri concorrenti/lettori. Mi interessava moltissimo poter aver il parere di un lettore indipendente, capire come avrebbe "letto" la mia storia. Poi il tutto è andato avanti, dei tremila iscritti solo 1500 mandarono l'opera, poi duecento passarono in semifinale e infine 30 finalisti che hanno pubblicato l'opera in e-book. 


Ti aspettavi di vincere?
No, ma figurati. Tanto è vero che le comunicazioni dei passaggi di turno avvenivano durante i principali eventi letterari (a Torino la comunicazione dei 200 e a Mantova quella dei 30 finalisti) e io non ero andato né da una parte né dall'altra. No, guarda, non ci pensavo minimamente. 


Una bella sorpresa...
Una bellissima sorpresa, e io devo molto a questo torneo. É stato un ottimo biglietto da visita per me. Il gruppo Mauri Spagnol aveva una prelazione sull'edizione cartacea del romanzo, di sei mesi. Ad aprile, scaduta la prelazione, ho cominciato a contattare altre case editrici e l'ho fatto nel modo più semplice possibile: ho scritto una mail, con una breve sinossi, il mio curriculum e l'indicazione che ero stato tra i finalisti di Io Scrittore e che l'e-book era andato bene. E la resa è stata ottima, fai conto che su dieci case editrici contattate in cinque mi hanno risposto, quattro delle quali chiedendomi il libro in lettura, e fra queste c'era la Fanucci. Con loro poi c'è stato subito un bellissimo lavoro di team: il direttore editoriale, Alfredo Lavarini, mi chiese il libro a maggio e già a luglio mi contattò per domandarmi se ero ancora libero.  Ad agosto ho ricevuto una mail proprio da Sergio Fanucci in persona che mi diceva di essere interessato a pubblicare il romanzo. Dopo i tempi sono stati velocissimi, perché a inizio settembre ero da loro a Roma, dove mi hanno raccontato di questo nuovo progetto, TimeCRIME, e del fatto che sarei stato l'unico autore italiano fra le prime pubblicazioni. 


Un'occasione imperdibile...
Sì, infatti. Bisognava solo correre. Mi avevano chiesto alcune modifiche alla trama, che andavano soprattutto in un'ottica di serializzazione dei personaggi. Tutte le correzioni che mi hanno chiesto le abbiamo condivise, e devo dire che sono stato molto contento perché comunque ho sempre avuto l'ultima parola e senza dubbio, almeno credo, tutti cambiamenti che abbiamo apportato hanno reso il romanzo migliore. Mi avevano chiesto, ad esempio, di rendere più chiara la "danza" e di dare più corpo al personaggio di Alice, non aumentando però il numero di pagine: in questo modo ho capito quanto ancora potevo asciugare il testo, e così ho trovato davvero il mio stile. 
Il romanzo poi, doveva essere consegnato entro fine ottobre, quindi è stata una corsa. E a gennaio ero in libreria!


Ed è andata molto bene, perché il riscontro sia di pubblico che di critica è estremamente positivo.
Sì, assolutamente. Alla presentazione a Verona ho visto che il libro ha la fascetta con la quarta ristampa, per cui dovremmo essere oltre le trentamila copie, che per un esordiente è tanto. A livello di critica è più difficile raggiungere i critici letterari: perché comunque sei esordiente, con una nuova sigla editoriale. Però devo dire che quello che forse è il  più importante in Italia si è preso un rischio enorme, perché D'Orrico sul Corriere della Sera ha fatto una recensione fantastica.


Venti corpi nella neve affonda le radici nella storia italiana. Come è nato, perché questa storia?
Allora io sono emiliano, dell'Appennino tra Modena e Bologna, di Zocca per la precisione. Io sono cresciuto con le storie di quell'ultima parte della guerra mondiale. Prima la guerra aveva sì toccato l'Appennino, perché i giovani partivano, però in quell'ultimo inverno la guerra era arrivata a casa loro. Nei paesi erano rimasti soltanto donne bambini e anziani e si erano trovati di fatto circondati dalle due fazioni, quella degli alleati e quella dei nazifascisti. In quel periodo sono successe le peggiori tragedie della seconda guerra mondiale,  le rappresaglie che dal tardo '43 fino al '45 hanno imperversato per quelle zone hanno segnato profondamente le famiglie di quei luoghi. Mia madre mi raccontava queste storie e a mio modo ho voluto tramandarle anch'io. Mia madre, che all'epoca aveva otto anni, viveva a Villa Daiano che si trovava proprio sulla linea gotica: lei poteva davvero dire "Su quel colle ci sono i tedeschi e su quello ci sono gli americani". Pensa che a Bologna, prima della presentazione del libro, mi si è avvicinato un signore anziano che mi ha detto "Io sono figlio di uno dei venti", perché lui ha riconosciuto nella storia dell'eccidio di Case Rosse, che non esiste, quella dell'eccidio dei boschi di Ciano, dove venti persone furono impiccate per rappresaglia con il fil di ferro. É una storia che la gente ricorda ancora molto, era il 18 luglio del '44, quindi non c'era la neve o la fucilazione come la dipingo io, però è successo: quello del romanzo è un eccidio inventato ma potrebbe essere uno dei tanti successi in Appennino. L'ho vestito di giallo, perché magari così sarebbe potuto arrivare a un pubblico un po' più ampio (poi io sono appassionato della letteratura gialla, quindi mi è anche venuto naturale), però quello che volevo dire è che con la guerra non si risolve nulla. La guerra crea ferite che non si chiudono più: se mia mamma sente un petardo adesso, a distanza di 60 anni, sobbalza perché pensa ai colpi di fucile. In sostanza l'idea era questa, di dire mai più la guerra. 


Immagino che oltre ai racconti della tua famiglia tu abbia fatto molte ricerche storiche
Ho fatto moltissime ricerche, letto tantissime pagine di Bocca, Biagi e anche di storici più locali che hanno scritto magari il racconto di alcune determinate battaglie. Arrivano i lupi, che io mutuo come titolo nel romanzo, è un saggio storico realmente esistente che però parla di un altro battaglione, non il battaglione della morte di Enrico Zanarini. Zanarini che è poi l'unico personaggio realmente esistito che appare nel romanzo, anche se ha solo il suo nome, perché non è esattamente quell'Enrico Zanarini, che è il responsabile dell'eccidio di Ciano. Però a leggere le storie non sono molto diverse, e la cosa che colpisce è che erano italiani. Particolare che a volte si tende a dimenticare.


Oltre a tutta la parte storica nel romanzo inserisci un elemento fantasy, paranormal quasi, una cosa un po' insolita per la letteratura italiana. Come mai questa scelta?
Forse per un purista del genere giallo potrebbe anche disturbare, però Roberto è nato così.  Il mio Roberto ha questa caratteristica, è nata prima la danza della storia addirittura. Forse perché ho una mente molto immaginifica, per cui a volte mi incanto a pensare a qualcosa che non sto vivendo realmente e poi magari lo confondo coi ricordi e mi sembra di averlo vissuto. Ovviamente non è solo quello che volevo metterci dentro. Roberto è un personaggio molto umano anche debole se vogliamo, davanti al pericolo il suo primo istinto è quello di scappare. Però forse, in questo caso, la danza è quel pezzo di inspiegabile, che va oltre ciò che gli occhi vedono.


Una sorta di forte empatia...
In realtà io l'avevo proprio immaginato come un personaggio molto empatico, e questa è un'empatia elevata all'ennesima potenza. Lui sente talmente tanto il legame con le vittime, vuole che riposino in pace ed è convinto che non possano farlo se gli assassini rimangono a piede libero, da viverne degli spezzoni di vita. Spezzoni disordinati che gli fanno capire cosa hanno provato sia le vittime che i carnefici.


Nella presentazione di Bologna hai detto che stai lavorando a due progetti, uno dei quali vedrà ancora protagonista Roberto Serra. Ci puoi dare qualche anticipazione?
Avevo la volontà di scrivere un romanzo con Roberto e uno senza. Poi Roberto ha preso il sopravvento, ha cominciato a stuzzicarmi e allora ho deciso di portarlo a Treviso. Quindi sarà qui, a vedere il mondo di Treviso con gli occhi di un forestiero. Lo porto in un posto che io amo particolarmente, le colline del Prosecco: un luogo meraviglioso, uno dei paesaggi vinicoli più belli del mondo. Sai, Treviso è una città che colpisce tantissimo, è veramente una bella città, dove è tutto pulito, scintillante mi verrebbe da dire. 
Per quanto riguarda la trama, partiamo dal fatto che io cerco sempre di metterci sotto un sentimento forte, inizia tutto da una mia indignazione: se per Venti corpi nella neve erano la vendetta e l'incapacità di dimenticare il punto di partenza, per il secondo romanzo di Roberto parto dal dolore che creano le idee che sostengono la superiorità di un essere umano, o peggio ancora di una razza rispetto a un'altra. Nell'altro progetto invece, di ambientazione completamente diversa perché siamo tra Milano e il lago d'Orta, parto dal desiderio di potere, inteso proprio come potere assoluto, la voglia di aver il controllo sulle altre persone. Mi sono divertito a indagare i rapporti fra il potere stesso e l'informazione, la deviazione di notizie.  Se proprio devo trovare una categoria in cui collocarlo potrei dire che se Grisham ha inventato il legal-thriller, questo potrebbe essere un information-thriller. 


Per Roberto prevedi una lunga serialità, come spesso capita nel genere thriller?
Potrei essere smentito domani, ma non credo che Roberto possa andare oltre una trilogia. E ho anche una vaga idea di come potrebbe essere il terzo capitolo e devo dire che forse potrebbe scapparci anche un quarto romanzo, che potrebbe essere una sorta di prequel o lui che indaga sulla morte dei genitori, però quello sarebbe l'ultimo. Però ecco, non vorrei andare oltre. Sai la danza è un elemento molto forte all'interno della storia, per cui non vorrei che si creasse una prevedibilità, come l'arma segreta dei robot dei cartoni animati di una volta per cui sai sempre che a un certo punto verrà usata. Siccome la danza è un elemento molto caratterizzante, contro cui Roberto combatte e combatterà ancor di più nel prossimo libro, mi sembra che la sua storia si possa compiere in tre, quattro romanzi, poi sono prontissimo ad essere smentito subito. 


Che lettore sei?
Vorace. Leggo una settantina di libri l'anno, senza contare quelli che leggo per lavoro o per documentarmi. Abbastanza onnivoro, mi piacciono molto i thriller, li recensisco anche per un sito. Leggo molto, sì. Diciamo che ogni giorno devo leggere qualcosa, non riesco a non leggere.


C'è un libro in particolare che, una volta terminato, ti ha fatto dire "Questo avrei voluto scriverlo io"?
Un giallo che avrei voluto scrivere io è Dieci piccoli indiani, un capolavoro. O se vuoi, il thriller che avrei voluto scrivere è Misery, che secondo me è il romanzo perfetto. Però il romanzo, più in generale, che avrei voluto scrivere è molto meno noto: si intitola Corale alla fine del viaggio di Erik Fosnes Hansen, ed è la storia dell'orchestra che suonò sul Titanic fino all'affondamento. Sono cinque racconti lunghi, che corrispondo alle "biografie" (inventate) di queste cinque persone, intervallati dalla storia della navigazione. Bellissimo, un perfetto equilibrio tra la scrittura e l'evocazione, perché ha delle immagini veramente forti. Una sorpresa. Comunque ce ne sono tantissimi di libri che avrei voluto scrivere io.
Pensa che dopo l'introduzione della legge Levi mi sono imposto, per spendere meno, di acquistare solo libri che costassero la metà di quelli di Ken Follet. Così ho scoperto dei romanzi che mi hanno davvero colpito, e che forse in altre circostanze non avrei letto.


Il tuo rapporto con gli e-book?
Buono. Come scrittore di e-book poi ho provato quanto sia ancora difficile far fruire questo strumento, per amici e conoscenti ero diventato una specie di call center. Come lettore, ho un kindle. La cosa più divertente è che trovi veramente tutti i classici a prezzi bassissimi, per cui è davvero bello. È molto utile per la saggistica l'e-book, per cercare una cosa ci metti un attimo.


Ti ringrazio ancora tantissimo, per il tempo che mi hai dedicato e un grande in bocca al lupo per tutto! 


Titolo: Venti corpi nella neve
Autore: Giuliano Pasini
Editore: TimeCRIME
Prezzo: 7,70 €
Codice ISBN: 978-88-6688-002-8













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